venerdì 6 gennaio 2012

Storie di uomini e cavalli. La mia avventura con un puledro. Parte prima.

A febbraio del 2011 nel circolo ippico dell’Almone veniva alla luce un puledro, dall’ennesima cavalla, ormai non più utile alle competizioni, finita a fare, come tante, la fattrice. Il puledro fu messo in un paddock con la madre e lì lasciato fino ad ottobre, quando il circolo è stato diviso in due gestioni e lui e la madre sono stati trasferiti in un altro paddock, per la verità migliore di quello dell’altro circolo.
Il puledro non è stato mai toccato da un essere umano e, all’inizio di dicembre, all’età di dieci mesi circa è stato separato dalla madre e messo in un paddock con un cavallo maschio di 13 anni, Cassius, e un altro puledro di un anno e mezzo. I primi giorni lo sentivo chiamare disperatamente la mamma che gli rispondeva da un paddock più in là dove convive con un’altra femmina, alla quale è toccata la stessa sorte di fattrice. Poi dopo qualche giorno si sono evidentemente entrambi rassegnati.
Io le vicende di Puli (così lo chiamo dal diminutivo di puledro, non avendo ancora un nome che, si dice, forse sarà Coriandolo) non ho mai voluto seguirle più da vicino. Mi fa male l’idea di vedere il destino dei cavalli destinati a fare competizione, di madri ingravidate per vendere i figli solo per far soldi, di puledri non considerati fino al giorno in cui non si decide che è arrivato il momento di iniziare a domarli. Così mi sono sempre rifiutata di andare a toccarlo, ho cercato di mantenere la distanza anche se, inevitabilmente, le sue vicende le seguivo, data la condivisione dello spazio.
Ma con il trasferimento al nuovo circolo tutto è cambiato. La maggiore vicinanza dei paddock, il fatto che con Carlotta, la mia cavalla, passassi sempre davanti al suo paddock; insomma ho iniziato ad osservarlo, finché un giorno sono entrata.
Cassius, un cavallone che ha fatto competizione di alto livello, compreso la terribile prova di potenza, mi ha stupito per la verità per la sua docilità di carattere e per il fatto che è diventato letteralmente il tutore di entrambi i puledri. Quando sono entrata ho capito che per prima cosa dovevo avere il suo permesso. Ho aspettato che si avvicinasse, mi sono presentata, facendomi annusare la mano, e ho provato ad accarezzarlo: ha accettato. Una caramella (ne porto sempre qualcuna di scorta) ha suggellato il nostro incontro: avevo il permesso di restare. Ma potevo anche toccare i puledri? Il più grande, evidentemente già abituato al contatto umano, è venuto da me insieme a lui. Allora ho provato ad accarezzarlo. Cassius restava lì ad osservarci, forse ad n certo punto un mio gesto troppo energico lo ha allarmato perchè ha spostato il puledro via da me, allora ho ripreso i contatti con lui, si è tranquillizzato e mi sono riavvicinata la puledro, era ormai chiaro che le mie intenzioni erano pacifiche, non ero entrate per mangiarli. Puli stava in disparte, ma io seguivo con la coda dell’occhio le sue reazioni. Si proteggeva col corpo di Cassius ma era curioso. Forse avrei potuto provare a vedere se si faceva toccare. Mi sono avvicinata mi ha annusato la mano a distanza, allungando il più possibile la testa, ma quando ho provato ad accarezzargli il muso è andato via. Era evidente la sua totale diffidenza verso il genere umano. Chissà come avrebbero fatto ad avvicinarsi a lui, la cosa, confesso, mi turbava. Sono uscita e ho dato loro del fieno. Nei giorni seguenti, ogni volta che passavo dal loro paddock mettevo un po’ di fieno e a tutti e tre questa cosa ovviamente piaceva molto, io non volevo mangiare loro ma dare loro del cibo. Questa ormai era una cosa assodata anche se, ovviamente, non spostava molto le cose per quanto riguardava Puli. Mi sono ricordata di un discorso fatto col mio amico e pareggiatore di Carlotta, Franco Belmonte, sul rapporto cibo-cavalli-uomini. E mi è venuta in mente la storia che mi ha raccontato la prima volta che è venuto a vedere Carlotta. Una storia che è una grande metafora nel rapporto appunto cibo-cavalli-uomini: Alcuni uomini vennero rapiti da una tribù di cannibali, i quali, dopo averli ben ingrassati se li papparono. Ma uno dei rapiti venne salvato da un membro della tribù il quale evidentemente vi si era affezionato. Il cannibale adottò praticamente la sua preda e le forniva cibo tutti i giorni. Ma l’uomo salvato, anche dopo tanto tempo, conservò dentro di sè sempre il terrore che un giorno o l’altro sarebbe stato mangiato. In fondo si trattava di una preda e di un predatore. Morale: il cibo non serve a convincere un cavallo che noi siamo suoi amici, anche se, come dirò, può essere uno strumento utile nel rafforzare un contatto con alcuni cavalli.
Dopo qualche giorno il presidente del, maneggio, che ora ha in consegna Puli, mi ha detto che era arrivata l’ora d mettergli la capezza. Bene, o male? Era però arrivato il momento di verificare una serie di cose. La prima cosa che, egoisticamente, volevo verificare era di vedere con quanta facilità, o difficoltà, un cavaliere della scuola, diciamo “tradizionale”, di quella cioè che usa i cavalli solo per fare competizione, che non utilizza l’approccio “naturale” e che gestisce il rapporto con un puledro e la madre nel modo che ho descritto sopra, riuscisse ad avvicinare un puledro assolutamente diffidente nei confronti degli uomini e, soprattutto, a mettergli la capezza. Così l’ho seguito fino al paddock e sono andata a curiosare. Lui è entrato, ma ogni volta che si avvicinava al puledro in modo troppo energico lui scappava. Dopo qualche tentativo, l’esperimento è finito lì. La cosa cominciava a preoccuparmi. Se il puledro reagiva così, in modo terrorizzato, come avrebbero fatto a “prenderlo”? Sarebbe finita che, dopo qualche tentativo, sarebbero entrati in quattro e lo avrebbero preso con la forza. Il solo pensiero mi terrorizzava. Per Puli sarebbe stata la fine, non fisica certo, ma psicologica si. Questo avrebbe per sempre compromesso il suo rapporto con gli uomini e la cosa più ovvia che gli sarebbe toccata sarebbe stata una vita di violenze fisiche e psicologiche. Ho una cavalla che viene da una storia simile ed ho provato sulla ma pelle cosa questo significhi, e la fatica che ci vuole a ridare fiducia a un cavallo il cui rapporto con l’uomo è stato compromesso nella fase più importante del suo apprendimento. No, ora non potevo più guardare dall’altra parte. Dovevo fare qualcosa. Certo le mie esperienze coi cavalli non sono tali e tante da farmi ritenere un’esperta e, in più, non ho mai avuto a che fare con un puledro. Ma forse potevo provare a mettere in pratica le cose apprese in 5 anni di Parelli, quello che mi hanno insegnato gli istruttori Parelli e, soprattutto, quello che mi ha insegnato la migliore delle istruttrici che io abbia mai avuto e che potrò mai avere: Carlotta. “Forse posso provare a fare qualcosa io, se mi dai il tempo necessario, senza mettermi fretta. Tanto che fretta hai? lui è ancora piccolo”, ho detto d’un fiato ad Alesio, del quale devo dire, ad onore del vero, nutro una certa stima. La paura che mi dicesse di lasciar perdere era però forte. In fondo nel circolo la mia scelta di un approccio diverso è stata spesso, alla meglio, derisa. Però lui mi ha sempre sostenuta. In fondo gli facevo anche un favore. “Ve bene, provaci”. Ecco era fatta. E così è iniziata la mia avventura con Puli.

martedì 26 aprile 2011

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